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Ahmadreza Djalali, l’ostaggio dimenticato in Iran dal 2016

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Se fosse rimasto in Italia, da docente e ricercatore in Medicina dei disastri e assistenza umanitaria, avrebbe potuto avere un ruolo importante nel contrasto alla pandemia da Covid-19. Avrebbe, in seguito, potuto occuparsi dei soccorsi alle popolazioni colpite dalle alluvioni negli ultimi anni. Fare molte altre cose.

Ma Ahmadreza Djalali, dopo aver passato buona parte della prima metà dello scorso decennio a Novara, presso l’Università del Piemonte Orientale, nel 2016 accettò un invito a recarsi in Iran: un’occasione per rivedere parte della sua famiglia, lui che viveva e faceva ricerca in Europa, tra Stoccolma in Svezia (dove vivono la moglie e i loro due figli), Lovanio in Belgio e, per l’appunto, Novara. Un’occasione rivelatasi una trappola.

Se fosse rimasto in Italia, soprattutto, Djalali non si troverebbe nel braccio della morte del carcere di Evin da quasi otto anni, condannato in via definitiva all’impiccagione un anno dopo l’arresto, avvenuto il 25 aprile 2016, per la falsa accusa di spionaggio verso Israele. “Sono uno scienziato, non una spia”, ha urlato infinite volte ai suoi carcerieri, a chi lo interrogava, ai giudici. Invano.

Sulla storia dell’ostaggio Djalali, a parte i colleghi di Novara, Amnesty International, qualche parlamentare piemontese e lo scrittore e giornalista Alessandro Milan, è calato il silenzio. Meglio, non c’è mai stata attenzione. Forse c’è chi pensa che l’accusa di spionaggio per Israele sia vera e dunque “ben gli sta!”. Quelli, sicuramente molti, che convengono sul fatto che l’accusa sia falsa dicono che ha passaporto svedese, dunque se la veda Stoccolma.

Il punto è che Stoccolma se l’è vista, ma molto male. Ha accettato la “politica degli ostaggi” iraniana e, nel giugno scorso, ha ottenuto il ritorno in patria di due suoi detenuti: un funzionario dell’Unione europea e un cittadino in cattive condizioni di salute. Djalali è stato escluso dallo “scambio”, grazie al quale è tornato trionfante e impunito in Iran Hamid Nouri, condannato in via definitiva all’ergastolo per il ruolo avuto nel massacro delle prigioni del 1988.

Dell’ostaggio Djalali le autorità iraniane hanno più volte annunciato l’esecuzione, rinunciandovi perché gli serviva vivo per riavere indietro il massacratore Nouri.

E adesso, oltre a proseguire a firmare appelli, come togliere il cappio dal collo di un innocente?

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